CERAMISTI INVISIBILI – Il passato di questa vecchia manifattura di ceramiche è per molti versi arduo da ricostruire in mancanza di documentazioni tecniche e per la penuria di qualsiasi informazione in rete. L’unica menzione apparsa sui media locali è una notizia di cronaca riportata nel 2016 da alcune testate online: un grave incendio doloso colpì l’opificio propagandosi poi fino al vicino Palasalerno, un palazzetto polisportivo incompiuto nei pressi dello stadio “Arechi” di Salerno. Ma non è certo il rogo ad aver fatto i maggiori danni, visto che la struttura oggi si presenta in buona parte rasa al suolo. Il processo di sparizione di questa fabbrica-fantasma, tuttavia, non è soltanto materiale: nell’archivio nazionale dei ceramisti, stranamente, non c’è alcuna traccia di “Ceramica Marisa”, quel nome che a stento è intuibile dalle ultime lettere dell’insegna rimaste affisse al di sopra dell’ingresso.
DANNI AMBIENTALI – La carcassa malmessa del piccolo stabilimento è oggi accessibile da ogni lato, a riprova del fatto che sia ormai lasciato all’inesorabile decomposizione del tempo, con tutti i problemi ambientali che ne derivano. Se non è classificabile come ecomostro è soltanto perché il povero opificio si sviluppa su un solo livello e non finisce per deturpare le linee del paesaggio. Ma non c’è dubbio che la passeggiata esplorativa al suo interno ci abbia donato un poco salubre incontro con scorie di metalli e minerali tossici.
DERIVA E FRANTUMI – Varcata la soglia o quel che ne resta, il primo spettacolo è quello di un ammasso di detriti e lamiere, esito del crollo totale delle officine. La funzione originaria di questi locali è deducibile soltanto grazie alla permanenza del vecchio forno Coel per la cottura della ceramica, ultimo elemento sopravvissuto tra gli strumenti di produzione. Ma le insegne sulla facciata che dà sulla strada annunciavano l’esistenza di un’esposizione interna.
ESPOSIZIONE – Adiacente alle officine, un corridoio con parete a vetro conduceva alla cassa, della quale è rimasta solo una targhetta. Da questo corridoio si accede in uno spazio chiuso e qui un’altra targa con la scritta esposizione anticipa le stanze adibite alla mostra dei prodotti Ceramica Marisa. Inutile precisare che di bomboniere e stoviglie oggi non resta la minima traccia, né è possibile riconoscere gli ambienti destinati all’esibizione dei prodotti. Miracolosamente il negozio è ancora in piedi e, a giudicare dall’apparenza, le stanze sono state abitate dopo la dismissione della fabbrica: si notano alcuni resti di pernottamenti a scopo di riparo provvisorio, mentre ciò che c’era prima è stato spostato o trafugato.
POSSIBILI RICOSTRUZIONI – Basta una rapida ricerca in rete per scoprire che sui siti web di compravendita di usato sono ancora attivi annunci relativi a caraffe, tazze e vasellame vintage a firma Marisa, tutti risalenti agli anni ’50-’60. Le descrizioni dei prodotti si riferiscono alla “Ceramica Marisa” come stile imitativo dell’artigianato di una celebre ceramista americana trapiantata a Salerno, Ernestine Cannon. La manifattura “Ernestine”, a differenza di “Marisa”, è presente anche nell’elenco dei ceramisti italiani: fu avviata nel 1948 e cessò di esistere nel 1969 per la morte della titolare. Questi brandelli di informazioni lasciano dedurre che la “Ceramica Marisa” sia stata fondata negli anni ’50. Inoltre è plausibile che sia rimasta operativa almeno fino alle soglie degli anni ’80: infatti un registro di atti di vendita reperibile su Google Books riporta accanto al nome “Ceramica Marisa” una transazione del 1978.
Tipologia: manifattura ceramica
Stato: rudere
Accesso: libero (sconsigliato)
Aggiornamento: aprile 2022