Ai piedi del Vesuvio riposa ormai abbandonato un gigante d’acciaio, un vero e proprio reperto di archeologia industriale. Si tratta di un vecchio ‘frantoio lavico’ che macinava i grossi blocchi appena cavati per farne breccia per uso edile. Lasciando le strade principali che girano intorno al Vesuvio e inoltrandosi verso le sue falde è possibile imbattersi nelle cave di pietra lavica ormai abbandonate, da quando con l’istituzione del Parco Nazionale del Vesuvio è stato vietato l’esercizio delle cave e degli impianti di frantumazione nell’area protetta.
ALTRE DERIVE – L’imponente sagoma del ‘frantoio lavico’ ci attira da lontano e non possiamo fare a meno di provare ad avvicinarci. Seguendo una strada sterrata circondata da massi di pietra lavica si arriva ad una collinetta che affaccia sull’enorme cavità scavata in tanti anni di lavoro e che oggi circonda tutto il sito. Arriviamo in un piazzale, in gran parte sterrato invaso dalle erbacce, da una parte i ruderi di quelli che dovevano essere dei depositi o altri locali di servizio.
Al centro invece c’è un piccolo fabbricato, con una torretta, alla quale probabilmente erano collegate le linee aree dell’alimentazione elettrica. Le poche stanzette del fabbricato probabilmente ospitavano l’abitazione del custode, un piccolo ufficio e i locali igienici per gli operai. Oggi restano qualche scheletro di televisore, una piccola cassaforte a muro e registri sparsi sul pavimento.
Da questo piazzale si raggiunge il ‘frantoio lavico’ vero e proprio. Alle spalle del piccolo fabbricato c’è la zona dove venivano inseriti i massi da tritare, che con un nastro trasportatore salivano alla parte più alta dell’impianto dove avveniva la frantumazione in blocchi sempre più piccoli, fino a che il percorso si concludeva alcuni metri più in basso, dove attraverso grossi imbuti andavano a riempire i cassoni dei camion in attesa.
Giriamo intorno al gigante, ormai ferito, per cercare di capirne il funzionamento: è un insieme di ingranaggi, leve, ruote, contrappesi, tutto in scala molto grande. I camminamenti e le scale e che vi permettevano l’accesso, sono quasi completamente arrugginiti ed impossibili da percorrere. Nelle vasche che raccoglievano le rocce tritate, immaginiamo divise per dimensioni, ormai crescono gli alberi. Quest’enorme massa d’acciaio è sollevata da terra da dodici pilastrini che consentivano ai camion di entrare al di sotto per caricare il brecciame prodotto. Poco distante un piccolo traliccio sostiene il residuo di quello che doveva essere un secondo nastro che trasportava gli scarti della tritatura verso il fondo della cava.
Andiamo via girando un breve filmato, mentre il cinguettio degli uccelli e l’eco di rumori lontani, che accompagnano il silenzio, sono coperti da uno stridulo cigolio: lamento del gigante ferito. O, forse, un commiato?
di Luigi Scarpato
Luigi è un architetto appassionato di fotografia dei luoghi abbandonati. Per vedere altre sue scoperte basta visitare la sezione altrederive.
Stato: abbandono, usura
Zona: vesuviana
Raggiungibilità: in auto
Accessibilità: senza impedimenti
Durata della visita: 30 minuti
Aggiornamento: gennaio 2020