Più di un anno è passato tra la visita di questa fabbrica di mattoni abbandonata e il racconto che scriviamo: se è vero che priorità e precedenze delle nostre cronache seguono criteri preferenziali e non pianificati, allora è probabile che l’attesa sia legata ad un’inconscia necessità di rimozione o soppressione di un trauma. Nulla di serio, sia chiaro, si scherza. Tant’è che questa esplorazione è rimasta indelebile (nella memoria, e sui vestiti) per un goffo incidente: ignari come due animaletti che s’infilano dritti dritti in una trappola, siamo finiti una palude di catrame, rammollita dal sole battente, che sotto i nostri piedi si è trasformata in una vera e propria pozza di sabbie mobili.
Solo dopo diverse operazioni strategiche e torsioni improbabili siamo riusciti a fuoriuscire da questo buco nero. Le scarpe ovviamente sono finite nella spazzatura ma, per fortuna, la disavventura è capitata sul finale della nostra visita. Prima, siamo riusciti a sbirciare dentro e fuori questa fabbrica ovoidale, che un po’ come il palasport di Cava de’ Tirreni ha le sembianze di un disco volante.
Poco distante, nella stessa area è adagiato un fabbricato che ospitava i dormitori per gli operai, ma all’interno non è rimasto nulla. La nostra attenzione si è concentrata quindi sulla fabbrica di mattoni, che abbiamo esplorato in lungo e in largo, salendo anche ai piani superiori, ove possibile senza troppi rischi.
Notizie precise non siamo stati in grado di reperirne: dapprincipio sapevamo soltanto che l’opificio producesse un tempo materiale edile, in particolare mattoni e laterizi. Questo, in realtà, spiega proprio la forma insolita della struttura: l’architettura di questo stabile corrisponde ad un forno Hoffmann, adibito proprio alla cottura di laterizi. Trattandosi di una tecnica ottocentesca, si potrebbe datare la costruzione di questa struttura al più tardi intorno ai primi del Novecento.
All’interno, l’impressione è quella di un groviglio ininterrotto di ferraglia, tra lo scheletro dello stabilimento e i resti dei macchinari. Sui pavimenti, non solo sono raccolti cumuli di mattoni, ma anche sparpagliati frammenti di attrezzi e apparecchiature. L’impatto architettonico più intenso viene dall’alto: alzando lo sguardo, la tettoia circolare produce un effetto vertiginoso e maestoso al tempo stesso (attutito in foto per le difficoltà con la luce diretta). Al primo piano, incorniciato tra le linee del telaio scheletrito e annerito dell’edificio, in un insolito contrasto tra cornice e quadro si scorge in lontananza un borgo antico, arroccato sull’altura.
Il panorama, tutt’intorno alla fabbrica di mattoni, offre la vista di morbide e verdeggianti vallate, accarezzate dal sole estivo. Aria fresca, silenzio di montagna, pace: sarebbe stato tutto perfetto per godersi una domenica nella natura, se non fosse stato per quella poltiglia appiccicosa che ci ha rovinato le scarpe e che ci ha costretti ad una preventiva ritirata, con un umore nero come la pece… o meglio, come il catrame!

Tipologia: piccolo opificio
Stato: dismesso e degradato
Zona: Avellinese
Raggiungibilità: ciglio della strada
Accessibilità: cancello principale
Visita: sconsigliata senza mascherina
Durata: 45 minuti
Aggiornamento: marzo 2019