L’inusuale ‘patrimonio’ architettonico di paesi fantasma, che in Campania annovera almeno una ventina di borghi, include un esemplare che si distingue dagli altri ‘simili’ in virtù di molteplici aspetti, a partire dalla peculiare posizione geografica: è il borgo marinaro abbandonato che si nasconde tra le pareti rocciose del fiordo di Furore. L’esplorazione urbana si tramuta qui in cammino naturalistico se, come noi, si sceglie la via più impegnativa per raggiungere questo minuscolo agglomerato di case: una scalinata di oltre 900 gradini e lunga circa 1 km, chiamata Sentiero della volpe pescatrice, che parte dall’alto avvolgendosi intorno ad un fianco dell’insenatura. Mentre discende verso il mare, il percorso spalanca panorami mozzafiato (a mozzare il fiato, al ritorno, saranno invece gli scalini in salita).
Le due estremità del fiordo sono congiunte da un ponte in pietra posto a circa 30 metri sopra il mare: per chi transita lungo la costa e si ferma per affacciarsi, il ponte fa da palcoscenico su un maestoso spettacolo naturale. Il potenziale scenografico dell’insenatura ai piedi di Furore è stato apprezzato da molti nomi noti del cinema: Roberto Rossellini decise di girare tra questi luoghi il film Amore (1948), interpretato da Anna Magnani, all’epoca sua compagna, con la quale si fermò persino ad abitare in una delle casette aggrappate alla parete rocciosa dell’insenatura, dette “Monazeni”. Nell’immaginario di un cinefilo più giovane, invece, la conformazione urbanistica del piccolo borgo abbandonato sulle rive di Furore potrebbe ricordare alcuni paesaggi architettonici disegnati da Hayao Miyazaki.
“La prima cosa che salta alla vista è l’essenzialità dei volumi, asettici ma non senza poesia, degli agglomerati architettonici che formano il paesello: come a chiarire sin da subito che nessun orpello possibile avrebbe retto al cospetto della grande opera della natura in cui essi s’innestano. È come se, per evitare di vedersi perdenti dinanzi a essa, gli uomini avessero puntato sulla semplicità per poter competere all’interno di uno scenario così atrocemente memorabile ” (cit. da Artribune).
D’altronde, il nome stesso dell’intero comune, Furore, secondo alcuni storici deriverebbe dall’intensa e spaventosa energia con cui gli agenti atmosferici hanno scolpito le asperità dell’insenatura.
Un affascinante intreccio di scalini conduce all’interno del borgo marinaro. Le poche case incastonate nella roccia sono ben chiuse, ma hanno tutta l’aria di essere abbandonate: sbirciando da qualche foro, si nota che alcune sono usate come depositi per pescatori.
Le barche in fila sul molo lasciano supporre che la pesca rappresenti l’ultimo barlume d’esistenza del borgo marinaro, la cui caletta è comunque conosciuta e amata dai turisti. I più si trattengono in riva al mare, ma alle spalle della spiaggia, nei mesi caldi, c’è un’ampia zona di secca, che conferisce un’ulteriore atmosfera di fascino e desolazione al fiordo di Furore. Proseguendo oltre, si arriva davanti a una cupola gialla, un ristorantino ora in disuso; di fronte, il piccolo edificio rosa abbarbicato alla roccia è la cappella rupestre di S. Caterina d’Alessandria, di cui qualcuno, a giudicare dagli interni, ancora si prende cura.
Esplorazione urbana, immersione nella natura e, finché il meteo lo concede, anche la possibilità di un bel bagno in uno scenario fiabesco. Uno splendido e multiforme sogno, che finisce bruscamente quando c’è da risalire, come si diceva, tutti gli scalini del Sentiero della volpe pescatrice.
Tipologia: borgo marinaro
Stato: ben conservato
Raggiungibilità: scale (percorsi brevi e lunghi)
Dintorni: frequentati da turisti
Accessibilità: comoda
Aggiornamento: ottobre 2020