Se intendiamo il concetto di derive in senso ampio, ossia quello di un movimento libero sul territorio campano per la riscoperta autonoma di spazi non solo dismessi, ma anche meno noti o decentrati e dimenticati – come nel caso del battistero di San Giovanni – allora ecco che l’Abbazia del Goleto rientra di diritto tra le nostre mete favorite e tra i luoghi del nostro archivio. Di fatto, la splendida abbazia situata a Sant’Angelo dei Lombardi non è abbandonata: l’erosione superficiale che si nota su un lato del complesso religioso (quello a cielo aperto) è parte del naturale decadimento di qualsiasi monumento antico e conferisce, anzi, la parvenza di un sito archeologico. Ma l’insieme è in ottimo stato di conservazione e manutenzione, anche grazie alla prima, massiccia opera di restauro del 1973, voluta dal Ministero dei Beni Culturali e dalla Sovrintendenza della Belle Arti di Avellino e Salerno.
Ad oggi, le sorti dell’Abbazia del Goleto sono affidate alla gestione dei Piccoli Fratelli della comunità Jesus Caritas. Gli accessi, i giardini del chiostro e i diversi ambienti ricettivi – almeno al momento della nostra visita – si presentano puliti e curati, senza alcun segno di incuria. Stupisce (e ci rallegra) che un luogo del genere non richieda biglietto d’ingresso e sia affidato alla libera visita degli avventori, confidando nel rispetto e nella civiltà di questi ultimi. Il rammarico viene forse al pensiero che un simile monumento meriterebbe maggiore notorietà e attenzione pubblica. Se non altro, perché già a metterci piede ci si ritrova davanti ad una meravigliosa doppia scalinata, che conduce alla chiesa del Vaccaro, ossia quella ormai scoperta e ridotta ad un maestoso rudere archeologico.
In cima alla scalinata, passando sotto un arco a sesto acuto, si apre l’area a croce greca della chiesa grande, opera settecentesca dell’architetto Domenico Antonio Vaccaro. Nonostante la chiesa non sia così antica rispetto al resto del complesso, la copertura è scomparsa ed insieme ad essa tutto ciò che era contenuto tra le mura dell’edificio. Sono stati preservati solo alcuni stucchi, mentre la pavimentazione è chiaramente frutto di un recente restauro. La distruzione è stata causata, nel corso del tempo, dai diversi terremoti irpini, ma anche dalla soppressione degli ordini monastici voluta ad inizio Ottocento da Napoleone e attuata dal Re di Napoli Gioacchino Murat, che determinò l’abbandono del complesso nel 1807 e successivi saccheggi.
Bisogna arrampicarsi su una strettissima e ripida scala per vedere la ben più antica Cappella di San Luca, parte di una chiesa in stile romanico, che presenta anche un atrio inferiore. La cappella fu edificata nel 1255 per volontà della badessa Marina II, come recita un’iscrizione sul portale d’accesso. Dei molteplici affreschi seicenteschi che ne decoravano le pareti sono rimasti soltanto due medaglioni che ritraggono le badesse Scolastica e Marina e i resti di episodi della vita di San Guglielmo. Nel chiostro alle spalle della chiesa, svetta la torre Febronia, “capolavoro di arte romanica [che] prende il nome dalla badessa che nel 1152 ne dispose la costruzione per la difesa del monastero” (goleto.it).
Inoltrandosi tra buie scalette in pietra che attraversano il complesso, si finisce nell’atrio inferiore, erroneamente indicato da alcuni come cappella funeraria. All’ingresso spicca, in effetti, una scultura funeraria romana, che raffigura una matrona. Lo spazio interno è a due campate, divise da una coppia di massicce colonne monolitiche, e conserva un sarcofago in pietra rossa. In realtà l’ambiente serviva come snodo di passaggio verso i resti dell’originaria Chiesa del Salvatore, ormai sparita, nonché verso il monastero femminile e il piccolo cimitero delle monache.
Sono diversi gli spunti di interesse per un visitatore di quella che è sinteticamente conosciuta come Abbazia del Goleto, ma che in origine era una vasta cittadella monastica: il Complesso del Santissimo Salvatore al Goleto sorse nel 1133 per opera di Guglielmo da Vercelli, monaco ed abate che fondò diversi edifici sacri, tra i quali l’Abbazia di Montevergine. La lunga, quasi millenaria stratificazione storica del sito non andrebbe neppure fatta partire dall’anno di edificazione del complesso: come scrive Luigi Scarpato su VesuvioNews, diversi indizi lasciano “supporre l’esistenza di un precedente insediamento romano ed è recente la notizia che saranno avviati scavi archeologici per indagare meglio quest’aspetto”.
Le vicende e gli sviluppi che hanno modificato la fisionomia del Complesso del Goleto avrebbero potuto infine ridurre l’abbazia ad uno dei tanti siti abbandonati, e smarriti nell’oblio, presenti sul suolo campano e italiano. Per fortuna è rimasta in vita, e tocca a chi abita il presente prendersi cura del passato.
Altre foto del Complesso del Goleto sono raccolte in questo album Facebook.
Tipologia: abbazia
Stato: buona manutenzione
Raggiungibilità: in auto
Visita: libera
Durata: 60-90 minuti
Aggiornamento: aprile 2021