Più di una volta ci è capitato di tornare da un’esplorazione a fine giornata, avvistare per caso una potenziale meta interessante, ma dover rimandare per la stanchezza e la luce scarsa. Ecco uno di quei casi: una sera al tramonto, da una rampa sopraelevata dell’autostrada, abbiamo visto sotto di noi un’imponente fila di palazzi fatiscenti, anneriti, sventrati, non abbiamo perso l’attimo e ne abbiamo segnato la posizione, per fare qualche verifica da casa e tornarci in seguito: si tratta di un complesso edilizio chiamato “la Cisternina”, piuttosto noto a chi è della zona.
Visto dall’alto o da fuori, la Cisternina ha le sembianze di un’area residenziale est-europea, evacuata in modo repentino per una qualche emergenza o un disastro. Il grigiore dell’abbandono, che avvolge l’immagine di un’architettura predisposta, invece, per essere massimamente fruibile, produce un contrasto dal retrogusto spettrale. Tanto che gli edifici e il cortile interno al di là della recinzione sarebbero perfetti come scenario cinematografico da film post-apocalittico.
La vaga somiglianza con Pryp’jat’, o altri centri colpiti dall’incidente di Černobyl’, è forse motivata dall’aspetto tipico da agglomerato di casermoni in stile sovietico: quei prefabbricati destinati ad ospitare gli operai di grosse fabbriche concentrate sullo stesso territorio, sebbene questa versione campana presenti edifici di soli tre o quattro piani.
A dire il vero, ad un’occhiata non è semplice desumere l’utilizzo originario: sembrerebbero costruiti a scopo abitativo, con tanto di guardiola posta centralmente davanti al cancello d’ingresso. Degli arredamenti non è rimasto assolutamente nulla, al punto che non c’è certezza che questi ambienti siano mai stati veramente in uso.
Successivamente abbiamo scoperto che il progetto iniziale prevedeva che i diciassette edifici complessivi di cui si compone la Cisternina dovessero ospitare un centro di ricerca, invece furono destinati per diversi anni agli sfollati del terremoto del 1980. La totale mancanza di servizi idraulici ed elettrici costrinse gli abitanti all’evacuazione per un’epidemia di salmonella, e da allora l’edificio è in stato di abbandono.
DERIVA – Questa esplorazione è stata una delle poche avvenute in solitaria, e l’esperienza non mi ha lasciato del tutto impassibile. Un po’ per le difficoltà a farmi strada tra i rovi spinati, un po’ per i rumori sospetti tra le frasche (topi? Serpenti? Passi umani?), un po’ per l’aria inquietante che di per sé hanno questi palazzoni, non è stata, diciamo così, una passeggiata di piacere.
Il clou emotivo ha coinciso con l’attraversamento dei sotterranei, quasi completamente bui, tranne alcuni punti illuminati dalle rare fenditure. Ho percorso più di duecento metri, prima di scoprire che l’unica uscita praticabile fosse quella da cui ero entrato. Le altre, erano tutte occluse: vuoi per la sterpaglia, vuoi per i crolli, vuoi per altri ostacoli dovuti allo stato precario dei fabbricati. E avventurarsi per le scale e salire in alto, sembrava soltanto un modo per perdersi in un labirinto.
Così sono tornato indietro fino al punto da cui ero venuto, ripercorrendo per intero gli scantinati, che all’apparenza servivano da locali per le centraline elettriche e le bombole del gas. L’unico vero segno di una presenza umana è stata la carcassa di un’auto, curiosamente… in divieto di sosta!
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Tipologia: complesso edilizio
Stato: abbandonato e pericolante
Zona: provincia di Napoli
Raggiungibilità: solo in auto
Dintorni: lievemente trafficati
Visita: molti rovi e ostacoli
Durata: 1-3 ore
Aggiornamento: aprile 2019