La chiesa di Sant’Eligio, insieme all’omonimo complesso monumentale adiacente, è una splendida opera architettonica nascosta nella selva edilizia del centro di Napoli, e piuttosto sottovalutata, forse perché sprofondata nel grigiore e nella desolazione di Piazza Mercato. Qualche giorno fa ne è apparsa notizia su la Repubblica online, ma purtroppo per un triste fatto di cronaca: un incendio doloso ha devastato i locali al piano terra e al primo piano del complesso, mentre al secondo piano restano, dimenticate e trascurate, intere sale ornate da affreschi del Settecento.
Quella di Sant’Eligio Maggiore è la più antica tra le architetture angioine a Napoli: la chiesa fu costruita nel 1270 e, se non per lo splendido portale della basilica o per i dipinti che contiene, è di certo nota per il meraviglioso arco di Sant’Eligio. L’arco è sormontato da un grosso orologio e adornato con le teste raffiguranti Irene Malarbi ed il duca Antonello Caracciolo, due figure sospese tra storia e leggenda, narrate anche da Benedetto Croce.
La chiesa per fortuna è integra e regolarmente funzionante. La vittima del misfatto giace appena qualche metro più indietro: è il palazzo adiacente la basilica, posto su un fianco della già malandata Piazza Mercato, quell’enorme cantiere bloccato da anni, il cui aspetto evoca un misto tra un paesaggio lunare e uno scenario postatomico. Come se non bastasse, la facciata del complesso di Sant’Eligio, restaurata nel Settecento in stile neoclassico, è stata deturpata da un incendio doloso nella notte del 22 ottobre.
Oggi è il 14 novembre, ma sembra che l’incendio sia avvenuto appena ieri. I portoni del palazzo sono spalancati e anneriti dalle fiamme. Chiunque può accedervi, nessun divieto o ostacolo proibisce l’ingresso. Entrando, l’aria è ancora irrespirabile. Al piano terra non solo l’olfatto, ma anche la vista è offuscata, per il buio e per la fuliggine residua dell’incendio. Dove arriva la luce, si distinguono a stento i profili di oggetti e arredamenti inceneriti. Al suolo si nota un superstite: un manufatto che, pur malridotto, sembrerebbe di un certo valore.
Al piano superiore l’aria è un po’ meno asfissiante e le pareti meno bruciacchiate, ma non è rimasto null’altro che il telaio architettonico, sventrato e desertificato. Pur volendo ispezionare ogni singola stanza, non resta più nulla da vedere.
Tra questi ambienti spogli non abbiamo trovato accessi ai piani superiori. Siamo tornati giù, e facendo un giro dell’antico complesso, abbiamo trovato un cancello aperto. Siamo entrati e, percorso il lungo ingresso, abbiamo raggiunto un chiostro: sebbene le siepi risultino abbastanza curate, è esso stesso lasciato all’abbandono, con evidenti segni di logorio e muffa. Alzando lo sguardo, senza dubbio abbandonate e vuote sono le sale interne dell’edificio quadrangolare che circonda il chiostro.
Tale edificio, più volte restaurato, fu annesso come ospedale alla Chiesa di Sant’Eligio. Nel Cinquecento vi fu istituito l’educandato femminile, anche detto conservatorio per le vergini, adibito all’istruzione per il servizio infermieristico presso il medesimo ospedale.
Una parte di questo complesso è ancora utilizzata e vissuta, ma non il lato che dà su Piazza Mercato, ossia quello che ha patito gli effetti dell’incendio, e quello in cui dovrebbero risiedere le sale affrescate mostrate su repubblica.it (clicca qui per vedere il video). In verità, a differenza di quanto paventato nel servizio, almeno queste sale, che sono scampate all’incendio, sono fortunatamente ben chiuse da un lucchetto, pertanto noi non siamo stati in grado di accedervi.