Il grigio fascino dei porti di città: nel golfo di Napoli


DERIVA – Si direbbe che in prossimità del mare questo termine ritrovi il suo significato originario. Eppure non c’è luogo che sia più urbano di un porto: le città e gli scambi, prendendo in prestito una formula di Italo Calvino, sono il principio dello sviluppo della civiltà. E le aree portuali esercitano quel fascino tutto metropolitano, fatto di asfalto, metallo, ruggine; uffici, officine, depositi; rari pedoni, carovane di veicoli e poi nessuna vettura per minuti; odori acri e odore d’acqua salata, immobilità e spostamenti, silenzi e rumori, immensi spazi vuoti e poi cumuli di materiali accatastati. In questo senso la nostra è stata una vera e propria deriva: ci siamo lasciati trasportare dall’ambiente. In cerca di nulla, abbiamo attraversato quegli spazi stranianti del porto di Napoli che sono compresi tra il Molo dell’Immacolatella vecchia, il Molo Pisacane e l’area delle officine e dei cantieri navali. Angoli mai visti prima, zone di transito al limite dei nonluoghi, che i partenti attraversano senza guardarsi intorno, oppure aree di controllo e smistamento, solitamente raggiunte e presidiate solo da lavoratori in divisa.

Questa sezione del porto è quella più grigia: la più prossima ai moli destinati alle transazioni commerciali, agli scarichi merci e ai cantieri. Tutta un cantiere, ma in senso architettonico, è via Nuova Marina, segmentata da impalcature decennali che circondano obelischi, chiese e palazzi antichi, divenute ormai sostegno per megacartelloni pubblicitari. E attraverso le ringhiere divisorie che separano il molo dalla strada, s’intravedono già alcuni edifici abbandonati del porto, forse ancora utili come temporanei depositi di ferraglia e scarti.

Il primo molo che abbiamo scelto è noto per un monumento abbandonato a se stesso: il palazzo dell’Immacolatella, un edificio a pianta ottagonale di epoca borbonica, un tempo sede della Deputazione della Salute. [Al momento della visita l’edificio era ancora in stallo, ora risultano completati i lavori di restauro: link]

 

Era l’unica destinazione prestabilita, questa; il resto della camminata è stato un vagabondare d’istinto, un impulso esplorativo sospinto dal gusto preferenziale per paesaggi metropolitani di questo tipo. Forse, anche mosso dalla presa di coscienza di non conoscere zone della propria città così prossime alle vie percorse tutti i giorni. Senza contare la storia di questo porto, che vide sbarcare nel VII secolo a.C. i coloni greci, fondatori di Parthènope e della Magna Grecia.

Tra capannoni, depositi, altri edifici (semi)abbandonati, qualche iscrizione vecchia e qualche altra persino antica, una colonna idraulica esposta come reperto, abbiamo rintracciato tutti gli spazi dismessi o in disuso.

 

Ma il vero gioiello architettonico si cela in lontananza, oltre file e file di container e officine, nell’area del porto chiamata “Molo Pisacane”: parliamo della Casa del Portuale.

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