Finestre sbarrate e facciate austere solitamente preannunciano all’avventore uno spazio di clausura: volontaria, se si tratta di un edificio sacro; forzata, nel caso di strutture detentive e di cura psichiatrica. Spesso, almeno in Campania, tali funzioni finiscono per intersecarsi: più di una volta ci siamo imbattuti in conventi divenuti carceri o ospedali psichiatrici, a causa delle confische degli immobili ecclesiastici attuate dal re Gioacchino Murat durante il periodo napoleonico. Non fa eccezione questo manicomio abbandonato, istituito nella seconda metà del XIX secolo in un’ala di un antichissimo complesso religioso. Sorta come succursale di ‘emergenza’ dei maggiori ospedali psichiatrici della regione, allo scopo di offrire 150 posti letto a malati di mente e convalescenti vari, la struttura subì diversi ampliamenti, fino alla creazione di un reparto femminile, destinato alle cosiddette “agitate”.
DERIVA – Ancora privi di nozioni storiche, ci avviciniamo al cortile antistante l’edificio, di libero accesso ma assalito da rovi e piante. La scala che porta nel centro neurologico termina in realtà in un vicolo cieco: all’interno i passaggi sono serrati. Facile a questo punto scoraggiarsi, ma altrettanto facile (con un minimo d’esperienza) è trovare un altro ingresso all’interno del manicomio abbandonato. Le prime sale sono sgombre e immeritevoli di fotografie, e al piano terra sono pochi i dettagli che lascino ricostruire la vita e la storia della struttura: un display numerico divelto, una teca di medicinali infranta, e poco altro. Ai piani superiori, alcune stanze conservano telai di letti piuttosto nuovi, come sembra recente l’intero prefabbricato, chiaramente annesso in epoca successiva all’architettura originaria. Le manate di vernice rossa di certo fanno scena, ma sin qui la visita è alquanto deludente.
Dall’alto del terrazzo all’aperto, si può ammirare il corpo principale del manicomio abbandonato, quello più antico, ma da sopra non ci si arriva: il passaggio dev’essere al piano terra. Tornati giù, raggiungiamo un chiostro interno, ma è invaso di vegetazione spontanea, cespugli e rottami. Sembrerebbe essere il capolinea, ma anche stavolta non ci arrendiamo. Nascosta da un cumulo di erbacce, ecco una finestra aperta ad altezza uomo: di qui, con un piccolo balzo, si discende in un’ampia stanza posta ad un livello inferiore, che nasconde finalmente qualcosa di davvero interessante. Ammassati qua e là, i letti originali usati per il ricovero dei pazienti; cianfrusaglie e strumenti vari sono sparsi sul pavimento; c’è anche una sedia a rotelle, in qualche modo un ‘classico’ dei manicomi.
Un sistema di cortili interni regola l’accesso verso altre sezioni del ricovero per malati di mente. Una scala buia e stretta, attraversata da vento e cigolii e un’atmosfera di inquietudine, non solo racchiude tutti i cliché legati a luoghi simili, ma sembrerebbe condurre verso il dormitorio principale del manicomio. Già il primo pianerottolo, però, è purtroppo murato. Poco male: tornando giù troviamo alcuni ambulatori più recenti (un letto ancora fatto), la sartoria, le cucine, un enorme archivio di documenti. Infine, nei sotterranei, una gigantesca lavanderia (foto omesse) e un deposito per gli abiti sporchi.
Il silenzio tombale, l’aria mesta e sinistra, l’ombra che ricopre la maggior parte degli ambienti interni: tali connotati rievocano in un certo senso la difficile storia di un ‘ricovero per dementi’ che, per gran parte del secolo scorso, diverse testimonianze scritte e fotografiche dipingono come luogo di precarie condizioni igieniche e dura sopravvivenza per i pazienti. Negli ultimi anni, pare, il direttore ne migliorò le condizioni e lo trasformò in una sorta di casa-famiglia, prima che venisse chiuso definitivamente negli anni Ottanta, in virtù della legge Basaglia del 1978.
Tante altre immagini del manicomio abbandonato sono raccolte in questo album sulla nostra pagina Facebook.
Stato: piuttosto vandalizzato
Raggiungibilità: a piedi
Dintorni: abitati
Visita: sconsigliata
Durata: 2-3 ore
Aggiornamento: gennaio 2020