Un gigante ‘nascosto’ in città: fu convitto, ospedale e scuola


Un tempo noto come Convitto Nazionale dei Gesuiti, in tempi più recenti sede dell’istituto tecnico “Giordani”, il Convitto Pontano alla Conocchia ha una storia lunga e complessa, che non conoscevamo a fondo quando abbiamo avvistato questo colosso nascosto nel mezzo della giungla edilizia napoletana.

Ma partiamo dalla fine della nostra vicenda. Pranzo domenicale in famiglia: eccezionalmente invitato un prozio ultranovantenne di parte materna, mai conosciuto prima. Si chiacchiera, temi vaghi e generici, luoghi comuni, convenevoli. Come ogni anziano, il prozio racconta la sua vita: perito chimico o qualcosa del genere, fu chiamato a insegnare in un istituto tecnico-industriale, dove poi lavorò per anni come vicepreside, finché la scuola non fu trasferita e l’edificio cessò di essere attivo. Al momento, distratto da altri pensieri, non ci faccio caso. Più tardi, però, si accende una lampadina, verifico una seconda volta nomi, posizione, storia del luogo, e realizzo che la scuola di cui parlava era stata una nostra scoperta di pochi giorni prima: un enorme edificio, nascosto tra alberi e arbusti in cima ad una ripida salita, ormai chiuso da un trentennio e ignoto ai più.

 

NOTIZIE – La morfologia e gli ambienti del Convitto Pontano alla Conocchia rivelano le sovrapposizioni susseguitesi nel corso del tempo. Sorto nel Settecento come convitto gesuita, un secolo dopo fu confiscato per volontà di Garibaldi e divenne proprietà statale, ospitando persino una visita del re Umberto I. La struttura fu trasformata in ospedale per malattie infettive e sul finire dell’Ottocento diede alloggio ai malati durante un’epidemia di colera. Pochi anni più tardi riacquisì la matrice religiosa originaria e tornò ad essere un convitto. Nel Novecento, invece, assunse una funzione puramente scolastica in senso moderno e divenne, come detto, un istituto tecnico-industriale.

DERIVA – Chi ha il coraggio di inoltrarsi nel ventre di questo gigante ed esplorarlo, non è detto che abbia lo stesso fegato per spingersi fin nel sottosuolo: qui gli scantinati sono completamente avvolti nel buio e fotografare gli ambienti senza flash è letteralmente inutile. Ma oltre a qualche brivido lungo la schiena, sottoterra si trova ben poco. Al piano terra, seguendo la pianta a t dell’edificio, si alternano aule scolastiche vuote e ambienti adibiti alla vita monastica, uniti tra loro da lunghi corridoi in penombra e ricoperti di detriti. Anche se non resta praticamente nulla degli oggetti di un tempo, il solo scheletro dell’edificio è in grado di raccontare la propria mutevole storia.

 

In un angolo appartato del piano terra si nasconde una stanza privata con bagno, a cui si accede oltrepassando un cancelletto e percorrendo una stretta scala avvitata. Al piano superiore, invece, ecco il tunnel di un ascensore ormai collassato.

Ritornando giù, trascinati dall’istinto e dal fascino oscuro di questo luogo, ci ritroviamo in un ampio, maestoso teatro al piano terra. La sala è crollata su se stessa, ma lo spettacolo è ancora assolutamente elegante e imponente, arricchito più che mai del classico ‘fascino della decadenza’. Proseguendo verso un’altra ala dell’edificio e salendo di un livello, sbuchiamo in una splendida cappella a base pressoché circolare, dai soffitti molto alti, con un balconcino che affaccia dal piano superiore: è questo l’ambiente più affascinante e integro tra quelli che rimandano all’origine religiosa dell’edificio, ma purtroppo è ridotto piuttosto male e mostra tracce di saccheggio.

 

Dal vivo il posto è in grado di mettere i brividi, in particolare nelle zone di maggiore oscurità: in foto è possibile rivedere, purtroppo, solo gli ambienti in condizioni di luce accettabili. Man mano che si prosegue verso i piani alti, l’ambientazione si fa sempre più cupa e gli spazi sempre più rovinati dal trascorrere del tempo: insieme al degrado cresce il potenziale inquietante dell’edificio. Finché raggiungiamo l’ultimo piano e qui si chiude il cerchio della storia: ecco i laboratori di chimica. Proprio in queste aule insegnò il mio prozio e qui, col senno di poi, avrei potuto avvertire un inatteso legame familiare. Ma, come detto, al momento della visita ero del tutto ignaro di una simile connessione.

 

Solo due settimane più tardi ho realizzato, davanti a un pasto domenicale, che questa scoperta di per sé emozionante è stata di fatto un omaggio involontario al passato di un mio antenato che, per puro caso, mi ha parlato degli anni di lavoro trascorsi in una scuola che, prima ancora (e forse nemmeno lui lo sapeva), era stata anche un convitto e un ricovero per malati.

 

Prima del nostro articolo non erano presenti in rete immagini degli interni della struttura. Le abbiamo mostrate e raccontate, qualche tempo dopo, anche per il quotidiano Il Mattino.  L’immobile, dalle notizie che circolano, sarebbe in vendita, ma al momento resta chiuso e in disuso.
Altre foto del Convitto Pontano alla Conocchia sono sulla nostra pagina Facebook.

Tipologia: istituto religioso e scolastico; ospedale
Stato: in rovina
Raggiungibilità: a piedi
Dintorni: popolati e trafficati

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