L’alba di un centro abitato: il monastero di Sant’Onofrio


Mattinata primaverile, primo sole estivo. Clima non ideale per lunghe camminate extra-urbane, luce fin troppo intensa per una buona riuscita delle fotografie. Per fortuna, il rudere che fa capolino dal ciglio di una strada provinciale ai piedi di Petina non richiede scarpinate: anzi, è proprio lì oltre il gomito di un tornante. E trattandosi di un edificio sacro, preserva al suo interno i giusti dosaggi di luci ed ombre. Dedicato al santo patrono locale, alcuni lo definiscono un eremo, ma è indicato più spesso come convento o monastero di Sant’Onofrio.

DERIVA E RUDERI Spingendo un sottile cancelletto in metallo arrugginito, ci si ritrova nella radura antistante la facciata anteriore del monastero di Sant’Onofrio. Ha ormai tutto l’aspetto di un vecchio rudere, spogliato fino alle grigie fondamenta. Solo le forme austere del portale a doppia arcata permangono invariate nei loro contorni. Varcata la soglia, lo spettacolo è simile: ci si ritrova in una chiesa a navata unica, con volta a botte, molto lunga e senza varchi di luce fino all’altare. Quest’ultimo è persino ridotto peggio: di certo depredato negli anni, è stato quasi cancellato dalla distruzione del tempo e dell’uomo.

 

Nella cornice denudata e scorticata della chiesa, sporgono ovunque dalle pareti numerosi tubi metallici: sembrano le ossa di un corpo scheletrito e in decomposizione, e invece sono supporti per iniezioni di malta, tracce di un restauro mai compiuto.

In una singola campata laterale, priva di un equivalente dal lato opposto, si nota al centro una nicchia con incisione a conchiglia, ma ormai del tutto priva di decorazioni ulteriori. Anche le due cornici speculari ai lati hanno perso quasi del tutto gli stucchi, di cui restano vaghe sfumature rossastre. Non resta che completare il giro degli altri ambienti del monastero, ormai indistinguibili e per lo più scoperti, o persino ridotti alle strutture portanti: vi è ricresciuta la vegetazione, qua e là colorata e abbellita da fiori e piante.

 

STORIA IN PEZZI Come le facciate interne ed esterne del monastero di Sant’Onofrio, anche la sua storia sembra essersi sbriciolata nel corso dei secoli. Molti secoli: potrebbe rimandare addirittura alle soglie dell’Alto Medioevo, ossia agli inizi del XI secolo, se si presta fede ad un memoratorium del 1018 dove, secondo alcuni, è menzionato. D’altronde, la fondazione del nucleo originario di Petina (Borgo Massa) dovrebbe risalire proprio al progressivo trasferimento in queste zone da parte di monaci greco-bizantini, che quindi vi si stanziarono costruendo diversi edifici sacri. Come riporta il sito del Comune di Petina, “tra i documenti più antichi si ricor­da la pergamena conservata nel­l’archivio del monastero della Badia di Cava dei Tirreni del 1174 e quel­la conservata nell’Abbazia Bene­dettina di Montevergine con data 1192”. La seconda farebbe riferimento “alla donazione del monastero di S. Onofrio, fatta da Ruggiero di Laviano (barone di Petina) al Monastero di Montevergine”. Successivamente, il monastero di Sant’Onofrio fu trasformato in priorato dell’Abbazia di Montevergine. Non ci sono notizie sulle evoluzioni più recenti, ma lo stato di rudere lascia supporre che il convento sia stato abbandonato nel XIX secolo, seguendo le sorti di molti complessi conventuali meridionali sotto il regno di Gioacchino Murat.


Categoria: architettura sacra
Tipologia: monastero medievale
Stato: rudere
Zona: monti Alburni
Dintorni: disabitati
Raggiungibilità: in auto
Accessibilità: semplice
Visita: libera
Durata: 30-60 minuti
Aggiornamento: maggio 2021

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