Muta agonia senza soccorso: il convento carmelitano del ‘300


All’interno di un’area metropolitana densamente popolata, tanto più tra i confini campani, è molto raro trovare un bene architettonico abbandonato che non sia stato letteralmente denudato di qualsiasi arredamento, ornamento e materiale rivendibile. Si aggiunga l’effetto corrosivo del tempo e dell’incuria: a quel punto un’eventuale visita diviene un’esperienza che si misura più sul vuoto e sul silenzio, che non sul rinvenimento di un dialogo con il passato. Eppure, un convento abbandonato, per planimetria e linee strutturali, anche se spellato e ridotto all’osso conserva sempre un fascino e uno stimolo particolare per chi vi mette piede.
Questo è il caso del convento di Santa Maria del Carmine di Aversa, che ho visitato in solitudine attraversandone i lunghi corridoi semibui, le sale spoglie e le scalinate crollate, nell’atmosfera di una pace quasi cimiteriale e di una desolazione insolita per le zone abitate della Campania.

Sul lato sud del complesso conventuale i primi segni di degrado affliggono la chiesa che vanta la cupola più alta della città. I cancelli sono chiusi da lucchetti, e verrebbe da dire per fortuna, visto che ignoti sciacalli ne hanno rubato ogni elemento di valore, persino le campane.

 

Già circumnavigando il complesso, si nota uno stato di (monumentale) decadenza, mentre sul versante settentrionale il convento di Santa Maria del Carmine mostra il proprio lato vulnerabile e consunto. La lunga facciata nord dell’edificio sacro conserva senza dubbio una maestosa eleganza, e il decadimento le conferisce una nota di diverso fascino rispetto ai consueti luoghi del turismo. Ma minaccia, allo stesso tempo, una fine imminente, visto lo stato precario dell’intera struttura, tanto più evidente al suo interno, tra le stanze vuote e i corridoi scheletriti e bui, dove si scorgono solo i resti di un dipinto sacro ormai grattato via per metà.

 

La scalinata che conduce al livello superiore è praticamente sparita ed è divenuta quasi una rampa liscia. Probabile che siano stati depredati i marmi, come diverse pavimentazioni in cotto: un saccheggio cominciato fin dagli anni Ottanta dello scorso secolo, quando anche la chiesa del convento di Santa Maria del Carmine ha conosciuto terminato per sempre le sue funzioni, per ragioni strutturali dovute al sisma del 1980. Il piano di sopra ripropone lo scenario di un ambiente scarno che non lascia indizi sull’uso dei vani. Resta soltanto l’intenso effetto desolante e pacificante che produce un’esplorazione solitaria di un edificio religioso dismesso.

Le geometrie arcuate dei corridoi, nonché delle finestre (che affacciano sui due chiostri del convento), offrono l’unico orientamento residuo all’occhio in cerca di dettagli su cui soffermarsi. Qualche oggetto rimasto sui pavimenti sembra più rimandare a pernottamenti estemporanei che non ad un’appartenenza alla vita conventuale.

 

Le origini storiche del convento di Santa Maria del Carmine risalgono addirittura al XIV secolo, ossia all’epoca angioina: da allora i frati carmelitani vi rimasero per quasi mezzo millennio, prima che le ingiunzioni di Murat decretassero la confisca e la conversione funzionale dell’immobile, come avvenne in tutto il Regno. Sono diversi, infatti, i complessi religiosi campani trasformati in ospedali o basi militari: tra questi il vicino ospedale psichiatrico di Santa Maria Maddalena. Questo convento divenne prima scuderia, quindi caserma, mentre nel tardo Novecento riprese la funzione di monastero per l’ordine dei frati agostiniani, infine per un decennio fu la sede di un liceo scientifico. Dopodiché il quarantennale abbandono, che attende un restauro difficile e a lungo promesso.

[Qui l’album Facebook con molte altre foto]


Categoria: edifici sacri
Tipologia: convento abbandonato
Stato: spoglio e pericolante
Dintorni: abitati
Durata della visita: 90 minuti
Aggiornamento: febbraio 2021

Condividi su: