Padiglione Albania e Cubo d’Oro sono i nomi di due edifici della Mostra d’Oltremare dalle forme simili, costruiti sul finire degli anni Trenta con funzioni museali e a scopo celebrativo del regime fascista. Sebbene in diverse condizioni di conservazione, entrambi sono chiusi e in fase di decadimento strutturale: con le nostre fotografie ne testimoniamo lo stato attuale, rispettivamente al 2021 e al 2023.
Il Padiglione Albania è un significativo esempio di architettura razionalista dell’epoca riconoscibile dalle geometriche superfici esterne, contraddistinte però da una vistosa lavorazione in bugnato, decorazione muraria in voga nella Firenze del Rinascimento e volta a conferire solennità alle facciate dei palazzi. Il Cubo d’Oro, un altrettanto austero blocco di cemento armato conosciuto negli anni ’40 come Salone dell’Impero, spicca invece per il mosaico dorato in vetro che riveste le quattro facciate del cubo, e che si ispira allo stile decorativo degli obelischi di Axum, città dell’Etiopia.
PADIGLIONE ALBANIA – Progettato da Gherardo Bosio e Niccolò Berardi nel 1938, la pianta quadrangolare del Padiglione Albania è ispirata alla kulla, tipico edificio fortificato albanese. In origine, al proprio interno ospitò esposizioni sulla storia, l’industria, la tecnica e l’artigianato dell’Albania, impreziosite da una sezione archeologica. Dopo un solo anno la seconda guerra mondiale irruppe sulla ancora breve esistenza del progetto, ma l’edificio riprese vita grazie al restauro affidato all’architetto napoletano Luigi Cosenza e a seguito della nuova inaugurazione del 1952 ospitò una mostra sul lavoro italiano nel mondo (per un’accurata ricostruzione storica cfr. M. Ciotola 2020, 1). L’iniziativa non ebbe il successo auspicato e dopo una seconda chiusura il Padiglione Albania rimase in disuso per diversi decenni, sinché in tempi più recenti è stato temporaneamente sede dell’ISVE (Istituto per lo Sviluppo Economico), prima di andare incontro al definitivo abbandono e a un evidente degrado strutturale, anche a causa delle immancabili incursioni di vandali.
Al nostro primo passaggio, diretti al Padiglione Rodi (link), ci siamo limitati ad osservare le bugne che spiccano anche sul retro della struttura. Solo successivamente abbiamo scoperto un accesso libero e siamo riusciti a vedere gli ambienti ormai vuoti del Padiglione Albania, la cui sala principale è dominata, e ancora illuminata, dal soffitto composto di 180 lacunari in vetro di Murano.
Altre foto del Padiglione Albania sono raccolte in un album a questo link
In cima alle ampie scalinate sono scomparsi i dipinti fascisti “Albania Romana” di Primo Conti e “Albania fascista” di Gianni Vagnetti, come ovviamente non c’è traccia distinguibile degli ambienti che ospitavano le mostre su storia, industria e artigianato albanese e sulle opere del regime mussoliniano in Albania. Le sale lasciano intravedere le forme dell’architettura originaria, ma gli interni sono indistinguibili cumuli di detriti e cocci.
CUBO D’ORO – Collocato sul Viale delle Palme, il cosiddetto Salone dell’Impero era il fiore all’occhiello di un complesso espositivo che includeva sette padiglioni minori, realizzato nel 1938 (stesso anno del Padiglione Albania) da Mario Zanetti, Luigi Racheli e Paolo Zella Melillo allo scopo di dare spazio a mostre sull’Africa Orientale e sul Lavoro Italiano in Africa, utili in verità a celebrare le conquiste coloniali dell’Italia fascista nel continente africano. L’esposizione fu inaugurata nel 1940 con il titolo “Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare” (cfr. M. Ciotola 2020, 2), e attraversava i padiglioni minori oggi scomparsi, trovando il suo culmine nel pomposo Cubo d’Oro. Le decorazioni dorate delle quattro facciate richiamano l’estetica della celebre Stele di Axum (I-IV secolo d.C.), ritrovata dai soldati italiani in missione e portata a Napoli e poi a Roma nel 1937, per essere poi restituita all’Etiopia soltanto nel 2005.
Recuperato nel 2010 con un intervento di Cherubino Gambardella, il Cubo d’Oro è tornato inaccessibile e ad oggi è circondato da un’impalcatura protettiva, a causa del progressivo cedimento dei tasselli in vetro dorato che decorano le facciate. Dalle quattro porte su ciascun lato del perimetro, oltre le file regolari di pilastri che sorreggono la struttura, è comunque possibile sbirciare all’interno dell’edificio. Le vetrate sono impolverate e le fotografie non sono delle migliori, ma si può distinguere la sala a pianta quadrata oggi del tutto vuota: al centro del pavimento in marmo bianco di Carrara, la pedana appare orfana dell’originaria scultura di un globo terrestre, che un tempo mostrava le colonie italiane in Africa. Sulle facciate interne sono sparite anche le iscrizioni della Proclamazione del regime fascista del 1936, mentre resistono su due pareti opposte gli enormi affreschi di Giovanni Brancaccio, la cui iconografia (un Duce trionfante a cavallo) è anch’essa elogiativa delle campagne imperialiste mussoliniane in Africa.
Tipologia: padiglioni espositivi
Stato: abbandono, degrado
Dintorni: edifici coevi dismessi
Aggiornamento: 05/2021, 03/2023
Speciale Mostra d’Oltremare
altri edifici
– Mostra sull’Africa Orientale, nei pressi del Cubo d’Oro:
Laghetto di Fasilides e villaggio abissino (link all’articolo)
-Nei pressi del Padiglione Albania:
Padiglione Rodi e Casa di Lindos (link all’articolo)