La Chiesa della Madonna del Carmine e la cripta sotterranea


Sul versante meridionale del Convento di Santa Maria del Carmine di Aversa, complesso conventuale chiuso e abbandonato da più di quarant’anni, langue in condizioni precarie l’omonima Chiesa della Madonna del Carmine, nota per svettare sull’intero territorio aversano con la sua cupola, che raggiunge il punto più alto tra tutti gli edifici sacri cittadini. Dopo il disastroso sisma del 1980 la chiesa cessò le sue funzioni e fu dismessa insieme al convento. Nei decenni seguenti, oltre all’usura del tempo, ha subìto diversi atti vandalici e soprattutto di sciacallaggio: sono stati depredati tutti gli elementi di valore, persino le campane. Più per ragioni di sicurezza che per altro, dunque, al momento del nostro passaggio nel convento (2021) la chiesa appariva inaccessibile.

 

La Chiesa della Madonna del Carmine risale, insieme al convento a cui è annessa, al XIV secolo, ma fu ricostruita quasi ex novo nel Settecento sulla base di una commistione di stili. L’impianto presenta una navata unica a croce latina, con diverse cappelle laterali tra le quali gli altari minori sono conservati meglio rispetto all’altare principale, ormai ridotto ad un blocco di pietra mezzo frantumato. Nel complesso, l’interno appare sgombro e danneggiato a causa delle suddette irruzioni malevole. La ‘perla nascosta’ sarebbe l’ampia cripta detta “terrasanta”, destinata alla sepoltura dei monaci del convento, se non fosse andata anch’essa incontro a un mesto destino.

Come si diceva, al nostro passaggio la chiesa era ben serrata. Al momento della sua visita ha invece trovato un libero accesso D. G., in arte Aged Teen, musicista ed esploratore urbano: di seguito riportiamo il suo racconto, ed è grazie alle sue foto (maggio 2022) che possiamo apprezzare gli interni della Chiesa della Madonna del Carmine.


ALTREDERIVE

L’idea mi è balenata sbirciando proprio tra gli edifici sacri archiviati qui, su Derive suburbane: affascinato dalle foto e dalla storia del convento e incuriosito da quella chiesa che mancava all’appello, ho deciso di visitare questo spoglio monumento alla decadenza, gigante addormentato e abbandonato nel cuore di Aversa.

Sin dai primi passi, mi rendo conto che le possenti mura esterne nascondono un dedalo di stanze, corridoi, scale e piani non facilmente accessibili. La cautela lascia velocemente il posto alla curiosità e mi avventuro tra le silenziose celle di questo grande alveare polveroso. Pareti un tempo servite a tener fuori le tentazioni della mondanità ospitano volti e slogan popolari una ventina d’anni fa: ritagli di giornale che assieme a rozzi graffiti e oggetti abbandonati raccontano di fredde notti al riparo dalle intemperie. I locali sono però in gran parte vuoti e tutti simili tra loro e la sensazione di trovarmi in una specie di labirinto non mi abbandona per la durata dell’intera visita.

Trascorsa ormai un’ora nel monastero e mentre fuori imperversa un violento temporale, mi domando se sia arrivato il momento di andar via, ma dei gradini attirano la mia attenzione, conducendomi ad una nuova stanza: dedico qualche minuto ad un sontuoso altare (ridotto per qualche tempo a scaffale e mobile da cucina) e fotografo ogni altro dettaglio di questa suite proletaria. Una pesante tenda rossa e blu mi separa da un vasto ambiente disadorno, scosto il drappo e dopo pochi passi mi affaccio sulla gigantesca chiesa in corrispondenza del portale principale: lo rivedo inaspettatamente proprio sotto i miei piedi. 

 

Sprovvisto di paracadute, torno sui miei passi alla ricerca d’un varco, fino a ritrovare una rampa malconcia che solo mezz’ora prima avevo preferito ignorare e che si rivela più stabile di quanto pensassi. Passo per il transetto sinistro, caratterizzato da un suggestivo verde chiaro e dalle decorazioni bianche perfettamente conservate, e in un attimo mi ritrovo a percorrere la navata centrale: la pavimentazione è assente, l’abside depredato dei suoi tesori, gli altari laterali saccheggiati e rovinati dal tempo, ma gli affreschi che decorano l’alto soffitto sembrano pressoché intatti e le vetrate integre.

Al centro del tempio c’è una botola priva d’imposta, un buco rettangolare che porta alla cripta. Sottoterra regna un pesante silenzio e gli occhi faticano ad abituarsi all’oscurità, ma aiutandomi con la luce del telefono perlustro l’intero ipogeo, che corrisponde fedelmente al perimetro dell’edificio sovrastante e si conclude con una finestra circolare che dà sul giardino (una piccola giungla che circonda l’intero complesso).

 

Indegnamente utilizzato come una discarica, quel foro luminoso lassù sarebbe però la mia unica via di fuga se qualcosa ostruisse la botola, la piramide di rifiuti una possibile scala d’emergenza. Mi lascio alle spalle certi pensieri claustrofobici e riemergo in superficie, per ammirare ancora il maestoso santuario e scattare le ultime foto.

di Aged Teen
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L’articolo con le immagini dell’intero convento di Santa Maria del Carmine e il racconto della sua storia secolare è a questo link.

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