Sguardo dentro l’acciaieria dell’ex Italsider di Bagnoli


Lo stabilimento siderurgico di Bagnoli ha un passato secolare che risale al 1910, ma solo dal 1964 ha assunto la denominazione di Italsider. La dismissione è invece avvenuta nel 1992 ed è stata necessaria nonostante i lavori di ammodernamento compiuti pochi anni prima, ma insufficienti per allinearsi alle norme urbanistiche e ai parametri di sostenibilità ambientale. L’acciaieria aveva raggiunto l’apice della produzione industriale negli anni Settanta, superando gli 1,5 milioni di tonnellate annue di acciaio prodotto grazie al lavoro di quasi 8mila operai, operativi su una superficie di ben 2 milioni di metri quadri. Ormai da trent’anni l’immensa area dell’ex Italsider di Bagnoli attende una completa bonifica e una riqualificazione mai giunte, a causa di persistenti vincoli burocratici e di controversie politiche. Sintomatico della paralisi amministrativa è il fallimento della società Bagnoli Futura, i cui piani di trasformazione urbana sono naufragati dopo poco più di un decennio (2002-2014) tra progetti mai realizzati e altri portati a termine senza esito, come il Parco dello sport di cui abbiamo già raccontato in precedenza.

Ad oggi, la vista della costa nord dall’alto della collina di Posillipo offre la ruvida sagoma di uno scenario postindustriale, che può esercitare il suo fascino ma anche una certa malinconia per il paesaggio costiero eternamente deturpato dai relitti dello stabilimento abbandonato.

Ph. ©Derive Suburbane

Nel grigiore delle ciminiere spente e delle carcasse delle fabbriche, spicca il capannone rosso che fu parte dell’ex acciaieria, e che Ettore Tafuri ci racconta qui di seguito con il supporto delle fotografie che ha scelto di pubblicare su Derive suburbane.

ALTREDERIVE – Mentre gli ex stabilimenti della Cementir e dell’Italsider di Bagnoli ancora attendono in un limbo burocratico una vera e propria riqualifica, l’edificio maggiore, cuore dell’ex acciaieria, è diventato ormai una parte integrante del panorama: la sua carcassa metallica, con quel rosso acceso, spicca da ogni parte e quasi imita il Vesuvio per la sua imponenza e per i ricordi dei tetti delle case ricoperti di polvere color ruggine. Più in là si scorge l’altoforno: nell’insieme, lo scenario oggi farebbe pensare a un videogioco post-apocalittico (si pensi al noto titolo The Last Of Us), in cui il territorio disabitato è un cimitero di edifici, ormai ripreso dalla natura.

Ph. E. Tafuri©

L’interno del capannone è immenso, la maestosità della struttura sembra volerne ricordare il passato di avanguardia nel settore siderurgico campano. Telai di furgoni e camion si alternano ad intere console piene di manopole e comandi. A differenza di altri edifici abbandonati, non si notano cumuli di detriti o di immondizia, ma solo macchinari specializzati in disuso e tanta polvere. Sono addirittura rari i murales e le scritte, mentre qualche piccolo gatto si aggira rapido tra i propri nascondigli. Accanto alle scale che conducono verso un piano superiore della struttura (forse la sala di controllo della gru a ponte), vi sono vari cartelli, fra i quali uno ammonisce: Divieto di transito durante il colaggio.

Ph. E. Tafuri©

Da questo padiglione si può scorgere sia il pontile nord, unico spazio riqualificato insieme alla Città della Scienza, sia il pontile minore dell’ex sala pompe (articolo a questo link), ancora oggi in stato di degrado, nonostante sia una meta ambita per ragazzini che ne fanno il trampolino per tuffi e bagni al mare. Dall’altro lato si scorge il Parco dello sport, altro pezzo di Bagnoli in stato di abbandono. “Vendo Bagnoli, chi la vuol comprare?”, scriveva Edoardo Bennato più di vent’anni fa, ed ancora oggi la domanda resta sospesa.

di Ettore Tafuri
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